Al teatro Golden: "Finché giudice non ci separi"

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Di Paola Aspri

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Augusto Fornari

Va di moda raccontare lo straniamento che comporta la separazione di coppia, soprattutto se vista dalla parte del maschio che ad un tratto si trova a fare i conti con la ‘singletudine’, perdendo una moglie, compagna, mamma e amante. In “Finchè giudice non ci separi” sono quattro gli uomini separati, ognuno con una propria personalità, ma tutti uniti dalla paura di essere soli in un universo che li vede spaesati con il proprio orgoglio ferito. Il testo scritto da Augusto Fornari, Toni Fornari, Vincenzo Sinopoli e Andrea Maia, ha la peculiarità di narrare l’universo virile con eleganza e divertente ironia, mettendo l’accento sulle problematiche di un distacco che provoca traumi psicologici. E’ soprattutto Massimo, interpretato da un funambolico Augusto Fornari ad essere il più penalizzato dei quattro, fustigato da una giudice che gli ha tolto tutto, figlia, moglie e soldi, mettendosi dalla parte offesa femminile. A consolarlo sono i tre amici di sempre, ognuno con una propria situazione regressa e un presente travagliato o che nasconde dietro goliardluca_angeletti_-_copiaiche quotidianità il male di vivere. Nicolas Vaporidis è in un personaggio di uomo libertino, che ha tante donne e passa il suo tempo a rispondere e a chattare con avventure occasionali, tradendo nel corso della storia la sua fama di duro e superficiale e mettendo a nudo la fragilità di uomo solo,  cui manca una moglie. Toni Fornari è invece il classico uomo annoiato, scontato che condivide,  pur essendo separato,  la casa con la ex moglie, non risolvendo mai la sua vita,  preso di mira dai suoi amici che lo giudicano incapace di fare delle scelte.
Poi c’è Luca Angeletti in un carattere che nasconde fino alla fine la sua identità e che svela poi ai suoi amici qualcosa che non si aspetterebbero mai. A vivacizzare ancora di più la messa in scena il ruolo del giudice, interpretato da una conturbante e bravissima Laura Ruocco, una vicina di casa che ha distrutto la vita di Massimo. Dopo un primo tentativo di fargliela pagare, Massimo rimane affascinato dalla giudice e dal racconto della sua esistenza, piena di risvolti inediti e di cose che contrastano con la sua carica. NIcolas-Vaporidis-680x365_cLa Giudice sarà la coscienza dei separati e li metterà di fronte alla propria vita come a uno specchio facendogli cambiare pagina e riflettendo sui propri errori passati. Una commedia brillante, efficace, come i suoi attori capaci di rendere giustizia ad una recitazione corale, dove non esistono barriere e dove l’esistenza scorre senza pregiudizi, trovando nell’amicizia e nella solidarietà tra gli esseri umani un giusto apporto per tirare avanti senza struggersi nel passato. La regia attenta e che lascia spazio agli attori è di Augusto Fornari. Da vedere. Si replica fino al 22 novembre.

“ I Casamonica, protagonisti del gossip della settimana”

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Di Paola Aspri

Si torna dalle vacanze con tanti buoni propositi, agguerriti più che mai per ottenere quel pezzo di cielo in una terra di nessuno. Avete sentito bene miei cari lettori, ormai abitare in questa terra ci toglie l’appartenenza, quella che dovrebbe farci sentire unici. Troppa gente disparata, gente non integrata per colpa di Stati che se ne fregano di noi e di chi è in cerca di asilo, che specula sulla povera gente e mette a tacere i diritti del più debole. Ma io voglio crederci, anche se tutto crolla intorno a noi, borse oscillanti per colpa della bolla asiatica, Grecia in grande affanno, euro che perde ogni giorno il suo valore, Isis alle porte di Roma, giochi di potere tra i soliti noti, gente che non sa dove andare a sbattere la testa, che non sa mettere il pranzo con la cena, il lavoro sempre più precario e i giovani sempre più demotivati dalle chiacchiere di Renzi e del suo parterre di amici. Ma io non voglio mollare, pensare di essere alla deriva, senza avere più sogni nel cassetto, possiamo farcela e dobbiamo farcela solo se manteniamo la fantasia che è in noi, cercando di non farci deprimere dal circondario.

Tale-e-Quale-Show-su-RaiUnoVogliamo soffermarci sui rotocalchi! Specialmente “Chi” mette in bella mostra i suoi beniamini. Niente da dire per carità, il gossip è sempre un toccasana per il logorio della vita moderna, ma a volte sembra che i personaggi siano sempre gli stessi e riportano alla perfezione uno spaccato di vita da “mulino bianco” che poco a che fare con le notizie catastrofiche dei TG. Carlo Conti che trovo simpatico, oltre che professionale, ha rilasciato una intervista che non dice niente di travolgente. Oltre che fare il papà di Matteo di 18 mesi, Conti è pronto per un’altra edizione di “Tale e quale Show” e per una seconda edizione del Festival di Sanremo sotto la sua conduzione. La colpa però non è di Carlo, ma di chi incalza con le domande e del giornalista che dovrebbe dare brio e conduzione al pezzo. Anche i giornalisti ormai hanno perso il potere della penna, si appiattiscono dietro alla routine e non inventano niente di nuovo. Ragazzi ci dobbiamo credere per favore, le professioni devono animare le passioni. Niente da dire invece su Daria Bignardi, la mia preferita, una giornalista che sa quello che dice e quello che scrive. Leggendo la rubrica di questa settimana sotto la sua firma su “Vanity Fair”,  ho scoperto che la pensa come me sui funerali dei Casamonica.
Non c’è niente di illegale nel fare un funerale alla maniera dei “Soprano”, mettere il corpo di Vittorio Casamonica nella stessa carrozza dove adagiava quello di Totò. Anzi Totò lo avrebbe salutato con un sorriso, perché nella poesia “ ’A livella”, in quel posto diventano tutti uguali e non ci sono classificazioni. Quindi non vedo reato. Come dice Daria Bignardi siamo in una democrazia e non in una dittatura e dentro non vanno i sospettati. casamonica15-757x505Anche Sgarbi dice la sua ed in maniera esemplare, perché Vittorio Casamonica prima di questi funerali, non lo conosceva nessuno e se lo Stato voleva interessarsi di lui lo doveva fare quando era in vita. Una vera e propria pagliacciata aggiungo che rientra in un gossip perfetto che prende il posto di quello dei rotocalchi. I Casamonica diventano così i protagonisti del pettegolezzo da spiaggia e non solo.

 

Carlo Conti e company sono stati superati da un gruppo di romani in un esterno sudista…

“Marina Castelnuovo, la sosia perfetta di Liz Taylor”

Marina Castelnuovo sosia di Liz Taylor che è stata ospite alla casa bianca ed ha avuto un importante ruolo nel sex gate del Presidente Clinton
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Di Paola Aspri

Sosie di tutto il mondo unitevi, ma questo non sembra essere il leit motiv di Marina Castelnuovo, la casalinga di Voghera che ha avuto il suo momento di gloria che ormai dura da 20 anni. Aveva calamitato l’attenzione dei media per la strabiliante somiglianza con la diva Liz Taylor e il Festival di Cannes del 1993 diventò famoso per la caccia all’originale. Oggi la inossidabile Marina non ammette che ci siano copie conformi a lei, lei è l’unica e inimitabile, tanto da aver creato su questa somiglianza leggende e verità che ancora oggi fanno notizia. I suoi incontri con il Primo uomo sulla luna, Buzz Aldrin, il giuggiolone Sylvester Stallone a cui è stata invitata nel suo 50esimo compleanno, ma anche l’incontro con Michael Jackson al Pavarotti & Friends, che la scambiò senza colpo ferire con il suo mito, l’amatissima Liz. e tanti altri aneddoti, sono ghiotti bocconi per chi si nutre di gossippare intenzioni.  Insomma questa Signora ne ha da raccontare e da narrare, più di una qualsiasi velina da strapazzo che tenta l’arrrampicata con il calciatore del momento. Lei la scalata l’ha fatta con furbizia e con la scaltrezza della donna del Nord e con un marito amatissimo che l’ha idolatrata come una diva, seguendola in tutte le sue scorribande da Jet Set e Gotha Mondiale. Oggi la Signora Castelnuovo oltre ad andare a tutte le manifestazioni cinematografiche hollywoodiane e più provinciali, basta che se ne parli, sfodera la sua ultima idea, quella di una linea di gioielli che si ispiri alle parure indossate dalla Liz. Il catalogo è on line e mostra la prosperosa Marina con indosso una imitazione perfetta delle collane e orecchini della Taylor, niente è lasciato al caso è tutto studiato per creare un business niente male, probabilmente in liti esteri, l’Italia ormai i miti li svende ai miglior offerenti. Oltre al film “Io e Liz” sulla sua vita da sosia, la Castelnuovo crea gioielli, scrive libri, ricava un bed and breakfast dalla sua villa di Varese di 500 metri e ogni stanza la investe dell’anima di Liz con tanto di colori e atmosfere. A Villa Liz (www.villaliz.it) si soggiorna con 120 euro a notte, compresa la prima colazione e hai tanti posti da visitare, i laghi e la Svizzera è a due passi.  Insomma questa donna divertente, con una parlantina sciolta che ti confonde amabilmente con estro e energia di chi la sa lunga, probabilmente si inventerà qualche altra cosa, da imprenditrice provetta, anche se lei nega di essere diventata ricca, nonostante le ospitate e le tante apparizioni pubbliche e private.

 

“Enzo Iacchetti, Direttore Artistico del Salone Margherita con una stagione di risate”

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Di Paola Aspri

Passato glorioso quello del Salone Margherita, quando Ninni Pingitore apriva i battenti al teatro e alla televisione con le sue primedonne e faceva sognare tanti italiani, ingelosendo le mogli che non potevano competere con cotanta bellezza.

Il presente ora è Enzo Iacchetti che coinvolto da Nevio Schiavone, produttore di spettacoli dal vivo tra i più gettonati in Italia, è diventato direttore artistico, promuovendo “Il progetto di rilancio” con

una nuova realtà più comicale. Enzino non tradisce il trascorso di bellezza e umorismo dialettico che contraddistingueva il Teatro di Via Due Macelli.

A spalleggiare le attività del conduttore di “Striscia la notizia”, Demo Mura, attore e autore di televisione di intrattenimento.

Non facendo torto alla verve e all’inventiva del politichese alla maniera di Pingitore, Iacchetti apre la stagione con “La grande risata”, targato Ninni, ma la partenza è avviata per dicembre, prima si darà vita ogni lunedi al Burlesque Cafè che riporta ai fasti del teatro, mettendo in prima linea donne bellissime che vivono atmosfere vintage, tutto questo in collaborazione con il Micca Club.

Tanti sono gli appuntamenti  da godere sotto la lente di ingrandimento di Enzo Iacchetti a cui non sfugge niente, neanche quello di mettere a confronto personaggi noti e meno noti, per rendere variabile ciò che altri reputano impossibile. Tra i noti, Giobbe Covatta con “Sei gradi”, Sasà Salvaggio, comico siciliano che sbarca direttamente da “Striscia la notizia” con “I primi 20 anni”, Francesco Paolantoni e Stefano Sarcinelli con “Il numero uno”, Leonardo Manera con “Segnali di vita”. Non mancano figli d’arte come Giovanni Baglioni che in concerto porterà sul palco musica totalmente avulsa da quella di un padre cantautore e melodico. Tra i meno noti le scemette con “Ci vuole un fisico intelligente”, anche se provengono dal palco di Zelig Cabaret, “I Ditelo voi” con “Komikaze”, direttamente da Made in Sud e da Colorado. Insomma ce n’e per tutti i gusti ed è il caso di dire per ogni palato, proprio perché ad ogni spettacolo è abbinato il virtuosismo culinario di Leonardo Vescera, chef stellato che inventerà un piatto per ogni esibizione artistica. Costi modici, cena abbinata ad uno spettacolo divertente, renderanno più appetibile l’offerta capitolina. Da non dimenticare la formazione, messa in atto dall’incontro del Salone Margherita con “Big J Academy” una scuola dedicata a chi intende specializzarsi nelle arti e professioni radiotelevisive. Il Salone Formazione è un luogo per i giovani talenti che attraverso corsi di recitazione, dizione e regia si metteranno in luce collocandosi nella cornice storica del Salone Margherita. Non è facile tenere testa alle idee di Enzo Iacchetti promotore dei giovani e talentuosi talenti, che una ne fa e cento ne pensa, ma ben vengano persone capaci di osare e investire le proprie risorse economiche per dare lavoro a chi merita. Insomma per un Riccardo Muti che snobba la capitale, lasciando la direzione del Teatro dell’Opera, c’è un nordista che sposa il confuso ma attraente fare spettacolo nella Roma spogliata.

Ecco l’intervista adn Enzo Iacchetti il giorno della presentazione della stagione del Salone Margherita

In “Se tutto va male, divento famoso!”, il coach Gabriele Pignotta ci insegna a cavalcare il successo, senza talento”

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Di Paola Aspri

Diventare famosi non è più un problema in tempo di crisi, basta reinventarsi, approfittando di quello che la televisione offre.  In “Se tutto va male, divento famoso!”, in scena al Teatro Ghione, Gabriele Pignotta, regista e autore del testo, nonché attore,  si cala nei panni di Jacopo perdendo il lavoro in una multinazionale insieme ad altri suoi colleghi. Invece di cercare di reintegrarsi nel vecchio, guarda al nuovo con timore,  ma osando. Decide di partecipare a un talent show e riesce a coinvolgere anche gli scettici ex compagni di lavoro.

L’impresa sarà ardua, anche perché diventare musicisti dal niente e partecipare alle selezioni non è certamente da sottovalutare. Ma alla fine il coraggio verrà premiato e i social network metteranno fine al loro anonimato. Sulla scia della sua opera prima cinematografica, “Ti sposo ma non troppo”, Gabriele Pignotta ritorna a calcare la scena con temi a lui cari, come i social network, tormentone del nostro tempo, caro alla nostra quotidianità con cui possiamo ogni giorno decretare il nostro successo o declino attraverso un selfie o un video rubato.

In questo caso è il rimettersi in gioco a farla da padrone, nonostante i licenziamenti e la mancanza di fiducia nei propri mezzi. Tutto si può fare e Pignotta con una commedia semplice e di buoni sentimenti, fa sorridere, riflettere e uscire dal teatro con la voglia di avere un coach come lui, che sappia fare della nostra vita un motivo di svago e di benessere.

Bravo lui, ma anche Fabio Avaro, suo compagno di viaggio recitativo da sempre, insieme a Cristiana Vaccaro e Siddharta Prestinari, che si prestano senza tentennamenti al gioco verbale del plot e alla dinamicità che si addice allo stile del capocomico.

Aspettiamo con ansia di vedere il secondo film di Pignotta, magari non attingendo da un’altra commedia, ma facendo una nuova sceneggiatura, anche perché la fantasia non gli fa difetto, anzi si esalta tra realtà virtuale e esistenziale. Si replica fino al 9 novembre.

“Mortaccia”, al Teatro Ghione con una Veronica Pivetti straordinaria.

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Di Paola Aspri

Visionario, surreale, folle nella sua dinamica teatrale, giocosamente irrisolto come i suoi personaggi, eppure ineccepibilmente attraente, pur non essendo perfettamente in linea con le altre commedie in scena nei vari teatri romani.“Mortaccia”, in questi giorni al Teatro Ghione, già dal primo quadro dona una visione di contraddittoria messinscena.Non è un caso se nei primi attimi dello spettacolo, lo spettatore rimane interdetto per i tanti input visivi e attoriali che si sovrappongono in una storia disordinata ma interessantissima. E’ tutto voluto e il risultato finale è certamente un gioco collettivo molto affascinante, come chi lo interpreta. Il testo e la regia sono di Giovanna Gra che ha preso spunto da una novella di Pasolini per creare un assunto diverso e assolutamente innovativo per il teatro. Certe intuizioni registiche prendono spunto da Tim Burton. Quando Veronica Pivetti appare sulla scena il suo vestito e il trucco sembrano provenire dal film “The Rocky Horror Picture Show”,ma anche i manga giapponesi fanno parte di questa folle evocazione teatrale, dove ogni cosa è attuabile se c’è una funambolica attrice come la “Prof”. Tutto gira intorno alla morte, pardon a “Mortaccia” che non poteva che incarnare la Pivetti con la sua ludica recitazione, perfida matrigna della scena, almeno in questo caso. Ad accompagnare la morte, Funesta e Sentenza, interpretati da Oreste Valente e Elisa Benedetta Marinoni, degni e bravi conpagni di palcoscenico. I costumi danno modo alla platea di intuire e viaggiare sulla difficile lingua del testo, quasi a sdrammatizzare attraverso il costume il tema ricorrente: il lutto permanente.  Quello che è ascoltato potrebbe essere interpretato come irreale, ma invece rispecchia una indagine fatta sull’uomo da chi vuole la sua fine. La morte diventa così una filosofa della vita e dei suoi abitanti, ne carpisce le brutte abitudini e alla fine scopre di essere meno cattiva e crudele dell’essere umano, quasi a mettere in dubbio il suo ruolo di fine eterna. Le luci sono sapientemente usate sugli attori, colori violacei che vanno a scalfire i volti dei personaggi,  a scavare sulla loro perfida verità. La pièce è cucita addosso a Veronica Pivetti, solo una attrice come lei può riuscire a spiegare “Mortaccia”, un assunto complicato, frammentario, che trova mirabilmente la chiave di svolta quando la  protagonista canta e si muove come su un musical, senza tentennamenti e con la giusta consapevolezza che può permettersi tutto, anche di far apparire la morte come una bella vacanza con un ritorno incerto. Da vedere. Si replica fino al 26 ottobre.

“Milano non esiste”, in scena al Teatro dè servi

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Di Paola Aspri

Su “Milano non esiste”, è la nostalgia del passato a diventare il tema ricorrente della pièce e Roberto D’Alessandro ne diventa il testimone ideale per sviscerare gli stati d’animo di un meridionale in cerca delle sue origini.

Tratto dall’omonimo romanzo di Dante Maffia, lo spettacolo in questi giorni al Teatro dè Servi, è un mix di valori dimenticati, messi a confronto con la realtà robotica di una grande città come Milano.

A fare da sfondo agli stati d’animo dei nostri giorni, una famiglia italiana, il cui patriarca è un calabrese prossimo al pensionamento, che vede la fine dei suoi giorni lavorativi in fabbrica come una liberazione per riappropriarsi del tempo perduto.

Il tempo perduto è la sua terra,  il ritorno è ostacolato dai cinque figli e da una moglie milanese doc. La rabbia è tanta che esplode quando sente l’ostilità di un nucleo che non capisce i suoi desideri e le sue richieste.

Un finale amaro spiega come la realtà distrugga le relazioni del trascorso, mostrando le pecche di un presente ostile ai propri valori primari.

Portato in scena lo scorso anno da Roberto D’Alessandro che ne è il regista e ha adattato il testo, rispetto alla scorsa edizione mostra una maggiore dinamicità nella recitazione e nello snodo tramatico.

Pur essendo una pièce dai risvolti drammatici, fino alla fine non svela la sua amarezza di fondo, evocando una divertente disarmonia tra i personaggi che genera ilarità negli spettatori.

Nonostante la lunghezza dello spettacolo, non si rischia di rimanere invischiati nella perdita di interesse, grazie alla tenuta registica di D’Alessandro e alla sua recitazione, sempre in bilico tra attenzione  estrema alle sfumature del personaggio e alla giocosa improvvisazione che lo contraddistingue.

Inoltre il gruppo di attori che lo contorna è al passo con la sua vivacità. I caratteri che si susseguono sul palcoscenico, denunciano la differenza e la complementarità di una società giovanile sempre più alla ricerca dei falsi miti e di omologazione di massa.

Daniela Stanga, è la giusta moglie di D’Alessandro in scena, una perfetta milanese che tende a mettere d’accordo l’istinto e la ragione, subendo a volte l’irruente passionalità meridionale del marito.

Annabella Calabrese è nelle corde di un ruolo di una figlia che vuole fare la velina, tutta mosse e trovate parodistiche che strappano più di una volta il sorriso della platea. Ma i siparietti fanno parte di una messinscena dove anche gli altri interpreti come Riccardo Bergo, Sara Borghi, Domenico Franceschelli e Andrea Standardi danno il meglio di loro, in accesi dibattiti, dove sono messi a confronto le differenze sociali ed economiche di ognuno, nonché le proprie aspirazioni. Le accese trovate di Sara Borghi, una figlia dedita al recupero degli extracomunitari, sono un diversivo brillante per strappare qualche risata in più. Da vedere. Fino al 2 novembre.

Al teatro Brancaccino "IL MIO TESTIMONE DI NOZZE"

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Di Paola Aspri

Coraggio premiato quello di Pino Quartullo che ha adattato per la prima volta in Italia, la commedia francese di Jean Luc Lemoine. “Il mio testimone di nozze”, in questi giorni al Teatro Brancaccino per la riuscita plateale.

La pièce è stata scritta da un autore dei nostri giorni che ha trovato in Quartullo il giusto traghettatore italiano.

Ritmi intensi e battute fulminee per un assunto che mette in luce la difficoltà di arrivare al giusto traguardo matrimoniale con la convivente consolidata da anni.

In questo caso lo zampino per distruggere un prossimo matrimonio ce lo mette l’amico del cuore di Benny, Thomas, un irriverente e inaffidabile uomo che con la sua visita improvvisa, crea confusione a non finire.

Lili oltre a vedere una minaccia nell’esplosivo amico, è invidiosa e gelosa della ragazzina che lo accompagna.

Elynea, è una diciannovenne carrozzata a dovere, che esplode di femminilità lolitesca. Immaginate cosa può accadere in una coppia vicina alla fede nuziale se irrompe una simile minaccia.

Insomma un fulmine a ciel sereno che porterà a un epilogo poco prevedibile e quindi un “coup de theatre” che lascia soddisfatti il pubblico in sala.

Non è solo la trama e il dialogo a essere efficace, è anche la tenuta scenica degli attori, perfettamente in sintonia con i loro personaggi, generosamente proiettati a una collettiva armonia attoriale.

Marco Fiorini e Siddharta Prestinari sono eccezionali nel rendere una coppia all’apparenza perfetta che poi scoppia con le dovute deflagrazioni del fato.

La Prestinari è divertente, audace nel dialogo e antipatica nei giusti tempi per contrastare la verve provocante e superficiale di Monica Volpe, quest’ultima con il fisico del ruolo, una finta oca con l’istinto del buon samaritano.

Marco Fiorini e Alberto Bognanni, raffigurano due personalità maschili agli antipodi con poche affinità amicali, quando ci sono di mezzo i sentimenti.

La regia di Pino Quartullo da un tocco in più alla già brillante e riflessiva pièce, attento a non far eccedere gli interpreti in un plot dove è facile esagerare nell’esporsi.

Un ottimo equilibrio registico accompagnato da una buona partitura attoriale e alle scenografie del bravissimo Marco Raparelli, artista esperto in derivazioni fumettistiche. In questo caso il bianco e nero della scenografia non solo riporta la cifra fumettistica, ma anche quel nostalgico mondo televisivo degli anni “70”. Da vedere. Fino al 26 ottobre, il giovedi, venerdi e sabato alle ore 21,30 e la domenica alle 17,30.