Al Teatro Ghione “Camera con vista”, un ritratto sulla vita e le emozioni di dentro

Camera con vista
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Camera con Vista” nel 1986 che vinse tre premi Oscar, è stato un potente film di immagini e di poetiche affermazioni che ha dato linfa vitale al cinema internazionale e ad una generazione come la mia che ancora oggi rivive di quelle atmosfere naturalistiche e della dirompente inquietudine dei personaggi principali, presi dalla stretta e inesauribile forza dell’amore. Il romanzo di Forster da cui James Ivory prese spunto per fare un film, ha dalla sua di essere un evergreen per tutte le stagioni. Stefano Artissunch ha preso coraggio e lo ha portato in scena con la traduzione di Antonia Brancati e Enrico Luttman. Il coraggio è stato ampiamente premiato dalla sua regia dinamica, sferzante come un mare in tempesta che travolge gli animi di Lucy e George, due giovani che durante una permanenza a Firenze, si fanno travolgere dai paesaggi e dalla generosa e passionale magnificenza italiana che tutto trasforma e coinvolge. I paesaggi bellissimi, la camera con vista che generosamente padre e figlio Emerson scambiano con quella sul cortile di Charlotte e Lucy, delineano già i contorni romantici di una coppia che sta formandosi.

Il silenzioso George, interpretato da un bravissimo Mauro Santopietro e la apparente conformista Lucy, caratterizzata da una Selvaggia Quattrini bravissima, sono la forza motrice della pièce che porta un happy end finale che tutti aspettano con ansia. Nel testo i caratteri sono rafforzati dagli attori che sono impegnati in una recitazione generosa e si muovono sulla scena con maestria, un work in progress causato in ogni quadro da interpreti in stato di grazia. Come per magia “Camera con vista”, diretto magistralmente da Artissunch diventa il luogo dell’immaginazione anche per chi lo osserva, non ci sono artifici scenografici per ogni quadro, cambi scena repentini, ma sono gli attori con la loro voce e i loro gesti a delineare il racconto scenico ad immagini.Camera con vista

L’unica scena è quella che raffigura una Firenze in miniatura, con tutti i monumenti principali al loro posto e dove i caratteri giganteggiano perché quello che conta è la loro presenza con le loro storie, universali come l’amore che la fa da padrone in questo assunto dove ognuno di noi può ritrovarsi. Charlotte, l’accompagnatrice, la cugina zitella della mamma della candida Lucy, è la compagna di viaggio fastidiosa, che vigila assiduamente sulle emozioni e azioni della giovane donna, ma che alla fine si pente di aver interrotto l’ardore di un momento, un bacio rubato tra George e Lucy. Charlotte è interpretato da una eccezionale Paola Quattrini, capace di indossare il suo personaggio tra il divertimento assoluto e l’impeccabile dizione, una generosa del palcoscenico che si accompagna elegantemente a sua figlia Selvaggia. Se poi si pensa che Selvaggia interpreta un ruolo che fu di Helena Bonham Carter e Paola quello che fu di Maggie Smith, il confronto fa venire paura solo a pensarlo, ma il teatro è un’altra cosa e loro lo sposano in questo caso senza sbavature recitative, da grandi del boccascena con l’estro di dare qualcosa in più di quello che richiede il testo e la regia. Da vedere anche per Stefano Artissunch, che ha fatto della regia il suo punto di forza. Si replica fino al 16 ottobre.

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