Né Giulietta, né Romeo, opera prima di Veronica Pivetti

Standard

Di Paola Aspri

Né Giulietta, né Romeo” è il primo film da regista di Veronica Pivetti, una storia familiare che coinvolge e si dipana nei conflitti adolescenziali di Rocco, un giovane sedicenne, figlio del nostro tempo,  che cerca attraverso le sue passioni per il suo idolo rock e le condivisioni con i suoi amici di sempre di capire da che parte sta andando. I dubbi e le incertezze che sconvolgono una certa sfera generazionale, sembrano poi appartenere anche alle identità della madre e del padre di Rocco, anche se entrambi (divorziati) hanno una professione e un background culturale elevato. Il padre psicanalista è un eterno peter pan che colleziona storie di breve respiro e la madre cerca di trovare il giusto equilibrio in tutto quello che fa, mettendosi in discussione come giornalista quando deve trattare temi all’indice per la società. L’omofobia, il giudizio lapidario contro chi desidera vivere la propria sessualità senza paletti è qui sviscerato in maniera semplice, senza virtuosismi intellettualistici, quasi fosse un film per la televisione. Probabilmente, Veronica Pivetti. con la lunga militanza nelle fiction si porta dietro quella spontaneità d’azione e immediatezza linguistica che fa parte del piccolo schermo, ma che in questo caso diventa un valore aggiunto per far circuitare il lungometraggio tra le varie età, mettendo tutti d’accordo. Bravissimi tutti, da Andrea Amato, a Carolina Pavone, una Maria spumeggiante con una vivacità espressiva e pittoresca che diventa il punto di riferimento del gruppo di amici ideale. Francesco De Miranda, nel ruolo di Mauri è il paffutello amico, generoso e ignaro dei turbamenti particolari dell’amico Rocco. Pia Engleberth nel ruolo della nonna Amalia è espressione di vitalità e di generosa esternazione di sé, una donna di estrema destra, amante di D’Annunzio e che sarà alla fine più vicina di chiunque altro alle variazioni sentimentali del nipote, entrando ed esponendosi in prima persona in un mondo per lei finora sconosciuto. Bravissima Veronica Pivetti che spadroneggia in un personaggio di mamma presente e ignara delle verità che si andranno a presentare all’improvviso. Corrado Invernizzi è perfetto nel ruolo un antipatico,  saccente e donnaiolo psichiatra.  Il film è in uscita il 19 novembre al cinema ed è stato presentato al Festival di Giffoni 2015 ed inoltre patrocinato e sostenuto da Amnesty International.

Come mai Veronica Pivetti diventa esordiente non più giovanissima?

È un percorso che meditavo da tempo. È vero che è complicato per una della mia età provare da regista e che mi porto dietro un bagaglio di esperienze che scatenerà critiche, ma mi piacciono le sfide e non ne ho paura. Inoltre mi sono concentrata e sono stata innamorata da subito di questo progetto. Sono una persona inquieta, anche se esteriormente appaio come sbarazzina e non mi potevo esimere dal provare qualcosa di diverso, ma sapevo di espormi e di fare un passo lungo e calibrato.

La storia narrata nel film non è generazionalmente distante dalla tua?

Assolutamente no, dentro il racconto filmico ci sono i traumi della mia adolescenza e mi piaceva raccontarlo in commedia perché è l’abito che vesto più volentieri. Questo è un film che spero piaccia ai ragazzi, ma che potrà piacere anche alla mia generazione. C’è molta intransigenza tra i ragazzi e andava evocato anche questo, cercando così di far vedere quanto sia dilagante l’omofobia nella nostra società.

 

Al Teatro Ambra alla Garbatella: “Il marito di mio figlio”

Standard

Di Paola Aspri

11208665_975949399090595_7142847548716055822_nUno spettacolo scoppiettante dai ritmi frenetici e battute al fulmicotone, così si presenta “Il marito di mio figlio”, in scena in questi giorni al Teatro Ambra alla Garbatella. Lo spettacolo scritto e diretto da Daniele Falleri assume delle connotazioni attualissime per risultare accattivante e soprattutto giusto nei riguardi di una situazione che in Italia è ancora in alto mare. Si parla di unioni civili e di situazioni che rischiano di scoppiare per un conformismo di maniera che aleggia nelle famiglie, mettendo in discussione l’amore con la “A” maiuscola. La storia di Giorgino e Michele, ribattezzati George e Michael per un tributo al grande cantante pop, è quella di due ragazzi che sono presi d’amore e vorrebbero coronare il loro sogno sposandosi a Madrid, ma tutto diventa difficile e contrariato quando ci sono di mezzo i genitori, compressi dai pregiudizi e dall’ipocrisia tutta italica che mette al primo posto la facciata da mulino bianco. È inutile raccontare la storia che porta ad un happy end coronato dai fiori d’arancio, quello che interessa sono le dinamiche comportamentali dei vari personaggi, ognuno con una storia alle spalle e che è evocata in alcuni momenti con riflessioni interiori al di fuori degli spazi collettivi in cui i personaggi sono costretti ad interagire. Attimi che riflettono le debolezze dei caratteri che nella vita giocano un ruolo attivo e di forte intensità. Daniele Falleri nel mostrare le fragilità anche dei genitori dei ragazzi li fa sembrare simili ai giovani protagonisti, mettendo così in dubbio la loro integrità morale che nella vita è velata da una doppia personalità. Determinante per la pièce sono gli interpreti tutti bravissimi e in grado di far decollare uno spettacolo dove i dialoghi sono mordaci, attuali e generosamente scolpiti sui ruoli, quasi a determinare un’atmosfera almodovariana. Eva Grimaldi è la moglie di Pietro De Silva, genitori sulla scena di Ludovico Fremont. 11041686_975951032423765_1572767208666568157_nLa coppia in questione è perfetta per dare vita ad una donna pop, eccentrica nel look che nasconde una doppia vita per noia maritale. Il marito in questione, Pietro De Silva, è un uomo che alla fine si metterà in discussione cambiando la sua vita attuale. Andrea Roncato è un uomo rude e maschio che si trova ad avere accanto una moglie (Pia Engleberth) con un look da suora mistica, entrambi genitori di Andrea Standardi, conformisti e poco attenti al presente e ai suoi rivoluzionamenti sessuali. Ludovico Fremont e Andrea Standardi sono in armonia nell’evocare una coppia gay contrariata dalle sorprese familiari. Una menzione particolare per Roberta Garzia nella parte di Lory, una cameriera/attrice, una ex che torna nella vita di uno dei giovani gay e che scombina il nuovo nucleo, con la complicità della madre di uno dei due che vuole confermare l’eterosessualità del figlio. Assolutamente bravissima nel regalare momenti di svampita esteriorità che alleggeriscono i momenti di tensione che vanno a crearsi per incomprensioni sentimentali. Le scene sono di Alessandro Chiti, in linea con le tematiche in atto, luciferine, psichedeliche e pop come si addice ad una storia dove le luci della vita cambiano al ritmo di un secondo. Bravissimo Daniele Falleri nel mettere in scena un assunto meno sfilacciato e più definito rispetto alla versione di due anni fa quando sulla scena c’era la bravissima e compianta Monica Scattini. 2015-11-10 21.08.14 (2)Un grande parterre per il debutto di ieri sera, dove erano presenti Gabriel Garko e la sua compagna Adua Del Vesco, Adriana Russo, La Marchesa D’Aragona, Antonio Paris, Il Principe Urbano Barberini, La Principessa Conny Caracciolo, Giulia Elettra Gorietti e tante altre personalità del mondo del mondo dello spettacolo. Si replica fino al 29 novembre.


2015-11-10 21.08.10 (2)